Al fuoco di bivacco con… Loris Sanlorenzo

Al fuoco di bivacco con… Loris Sanlorenzo

Quello che andrete a leggere adesso è l’estratto di un’intervista fatta oltre un anno fa e rimasta conservata negli archivi della redazione.

Oggi, 22 febbraio 2020, giornata del pensiero in cui tutti gli scout del mondo si impegnano insieme per compiere un gesto concreto per lasciare il mondo migliore di come lo hanno trovato, sentiamo il bisogno di rileggere queste parole e condividervele.

Nasce oggi una nuova rubrica intitolata “Al fuoco di bivacco con…” storie e racconti di chi ha visto germogliare e crescere lo scautismo locale, ma non solo.

In questo giorno così importante vogliamo condividere le parole di Loris Sanlorenzo, giornalista, formatore e docente, capo del  Palermo 15, nonchè figura emblematica della nostra zona, di cui è stato anche responsabile dal 1982 al 1987.

Mi dirigo verso casa di Loris con non poca ansia, il primo motivo è perché è la prima intervista che faccio, il secondo è che iniziare intervistando un  giornalista non è proprio il massimo per un neofita, ma il motto Estote Parati risuona nella mia testa, quindi mi faccio coraggio e vado.

Mi accoglie cordialmente in casa sua mettendomi a mio agio, per poi iniziare il suo racconto.

L: i fatti che ti racconterò adesso risalgono a quello che noi possiamo considerare tanto tempo fa, intorno agli anni 1982-1985.

Se hai visto il film di PIF “La mafia uccide solo d’estate” in quegli anni Palermo non era certo la città che vedi adesso, era una città impaurita,  ridotta in miseria dalla guerra di mafia. Era forse il periodo più buio , tra l’altro erano gli anni in cui Giovanni Falcone iniziava la sua battaglia, con non pochi dubbi e persino i fastidi della gente.

La situazione dello Scautismo palermitano in questo contesto era di crisi profonda, non erano passati neanche dieci anni dalla fondazione dell’AGESCI (1974), quindi ancora c’era molto disorientamento. Era una fase con un forte ricambio generazionale di capi che vivevano uno scautismo fondato su una memoria storica sgranata.

Nel 1982 durante un’assemblea con non più di venti capi tenutasi alla Base Scout Massariotta, io fui invitato a ricoprire il ruolo di Responsabile di Zona. Denominazione recente perché fino a qualche anno prima il termine usato era commissario provinciale.

Zona che aveva una dimensione che coincideva con la provincia, quindi si espandeva ad est fino a raggiungere comuni come Castelbuono e Cefalù. Immaginati questo giovane ragazzo di circa trent’anni che ogni tanto si doveva scapicollare fino ai confini della provincia.

Ad ogni modo, durante questo periodo parecchio turbolento, ci venne in mente dopo aver trovato alcune carte che parlavano di Settimana dello Scautismo vissuta in prossimità del 22 febbraio, l’idea di dare una svolta allo scautismo palermitano, assumendoci l’onere e l’impegno di vivere un’intera settimana dello scautismo. Riprendendo questa idea degli anni ’60 l’idea era quella di creare un contenitore di eventi per gli scout ma soprattutto aperto alla cittadinanza, per fare chiarezza sul ruolo degli scout e sfatare alcuni luoghi comuni, nonché per mettere un punto fermo sull’associazione che a Palermo non aveva ancora un’identità ben delineata.

Nella stessa occasione nacque il desiderio di recuperare uno spazio della città che fosse abbandonato e mi venne in mente Villa Trabia.

In quel periodo era un luogo tenebroso, il parco non era comunale, apparteneva al banco di Sicilia e l’immobile era stato affittato da un circolo di nobili. Una volta ottenuto il benestare dal presidente del Banco iniziammo a lavorare.

Vivere la settimana dello scautismo lì significava montare delle istallazioni e grazie all’aiuto della Curia riuscimmo ad ottenere un palco, l’amplificazione nonché dei gazebo per alcune attività. Allestimmo tutto in prossimità della fontana, insieme alle classiche costruzioni scout, portale, tavoli e issabandiera. Restituimmo inoltre alla Settimana dello Scautismo il suo carattere internazionale, ma non soltanto con un pensiero (la giornata del pensiero che oggi si celebra fu un’invenzione successiva). Sfruttando i contatti in possesso del settore internazionale invitammo, nel corso dell’anno successivo, rappresentanti delle associazioni scout del Mediterraneo.

In pratica fummo i pionieri dell’idea di Palermo pensata e vissuta come capitale del mediterraneo.

La nostra intuizione era questa: Palermo come città in grado di spingere all’impegno politico, rivendicare la natura internazionale dello scautismo, non in modo astratto, ma valorizzando il mosaico delle culture che erano già presenti in città. Può sembrare che il fenomeno migratorio sia un processo degli anni duemila, in realtà non è così. Già negli anni ottanta organizzammo cantieri e campi coinvolgendo le prime comunità africane presenti al Capo.

Quindi si iniziò un percorso in zona, attraverso la settimana dello scautismo con questo taglio internazionale e mediterraneo, per concludersi con il MassarJam, il Jamboree del Mediterraneo, nel 1985.

Quindi si tratta di anni in cui lo scautismo esce dalle sagrestie e dai cortili parrocchiali e si proietta in città come scuola di buoni cittadini con questo taglio internazionale.

Ti dico questo perchè questa operazione era nel pieno spirito in cui credevamo e crediamo, dove lo scautismo è anticipatore di fenomeni di cui riesce a leggere le tracce, come gli scout che imparano a rilevare le impronte. Quindi sul piano culturale noi ribadimmo come lo scautismo fosse in grado di accorgersi dei fatti prima degli altri.

Tornando alla settimana dello scautismo, ogni giorno, di mattina, erano invitate le scuole a visitare questo campo scout in piena città, per noi era anche un’occasione di promozione non indifferente.

Avevamo una turnazione ben precisa perché la villa andava presidiata, io ero praticamente ogni giorno lì, tra l’altro in quel periodo nacque mia figlia e dopo i giorni in clinica ero nuovamente alla villa, ma questo lo fanno anche i capi di adesso.

Il pomeriggio invece lo sfruttavamo come momento di formazione per capi e per altre realtà non solo cattoliche della città. La sera infine era il momento più ricreativo per noi, dove i vari gruppi animavano, con concerti, veglie ecc… Nacque anche il gruppo della zona, i “gatti verdi”.

In un’altra edizione della SIS, credo nel 1985, invitammo l’allora giovane sindaco Orlando per parlare con noi e per mostrargli un progetto portato avanti durante l’intera settimana, chiamato “la mia visione della Palermo del 2000”. Oggi è passato da anni, ma allora era il futuro.

Branchi e Reparti durante quei giorni avevano la possibilità di mostrare la  loro città del futuro attraverso disegni, elaborati ed altro. Vedi come l’idea del progetto e di futuro fosse sempre battente.

Parlare di coeducazione o progetto educativo non era per nulla scontato a quei tempi.Questo per lasciarvi in eredità dell’idea che lo scautismo è in movimento e si propone per dare risposte, con i propri strumenti educativi, a bisogni di cui coglie i primi segni premonitori prima che diventino espliciti, così da farsi trovare pronto perché si è attrezzato.

A: Potremmo chiamarla una scuola di lungimiranza ?

L: assolutamente sì. In fondo chi è lo scout? Un esploratore, cioè colui che si inoltra in un territorio sconosciuto, ma che grazie alla sua formazione è in grado di leggerne le tracce, sia fisiche che culturali, ciò che Papa Giovanni XXIII chiama “i segni nei tempi”.

Se tu individui oggi un fenomeno anomalo che si porrà nella società, quando i tuoi lupetti saranno diventati adulti, questo non sarà più un semplice fenomeno episodico ma un problema vero e proprio. Mentre gli altri non saranno stati formati per affrontarlo i tuoi ragazzi sì.

Educare è un verbo che si proietta sempre al futuro, che lo fa attraverso un progetto, e tutte le volte che vedi il prefisso pro devi pensare ad un proiettile, ossia a qualcosa sparata in avanti.

Tutte le volte che nella società italiana lo scautismo ha avuto la capacità e il coraggio di leggere i segni nei tempi e di capire che cosa stava accadendo, lo scautismo è stato utile alla nostra società.

Gli altri non si inoltrano nella boscaglia, lo scout sì, perché sa stare lì come sa stare in un salotto, come diceva Baden Powell.

Sembrava davvero di ascoltare una storia attorno ad un bivacco durante la notte del campo estivo, stanco per le fatiche della giornata appena trascorsa, fiducioso ed emozionato per quella che verrà.

Con alcune domande che trovo estremamente stimolanti, saluto Loris ringraziandolo per il suo prezioso contributo

Le domande che ogni zona dovrebbe porsi è: lo scautismo che oggi facciamo in questa città, è eversione ?

La sfida è questa. Il gruppo scout nel quartiere in cui opera è eversione o è moda?

L’adesione a qualsiasi iniziativa antimafia è eversione o è moda?  C’è educazione solo quando c’è eversione, cioè quando la proposta educativa modifica i comportamenti e incide concretamente sulla realtà.

Come ricordava Baden Powell nel suo libro “la strada verso il successo” tra i tanti scogli da evitare, il più pericoloso è quello di ascoltare Cucù e Ciarlatani e ciò è spesso solo moda.

Finché lo scautismo è avanti, la società lo segue perché è pioniere di idee e di contenuti. Ma quando a poco a poco la società ha raggiunto lo scautismo, perché anche grazie ad essa è maturata, lo scautismo ha spostato in avanti la meta?

Perché se rimane costante rispetto al mondo che ha contribuito a creare, la sua funzione è finita. Quindi abbiamo sempre il dovere di continuare ad essere esploratori, di nuovi mondi, di nuovi contenuti, di terre nuove. Questa è la sfida.

Nella Palermo di domani quali saranno le sfide a cui educare i nostri ragazzi fin da oggi? 

Biografia: Luigi Sanlorenzo, Palermo 1956.
Di formazione filosofica, economica e scout, ne ha declinato i valori nell’ambito delle analisi strategiche, delle dinamiche del cambiamento e delle risorse umane secondo gli indirizzi di Humanistic Management. Ha ricoperto incarichi di responsabilità e di consulenza presso Istituti di Credito e società multinazionali e ha rivestito cariche istituzionali negli anni ‘90 durante la Primavera di Palermo e nei recenti anni 2000.

Intervista a cura di:

Alberto Di Franco – Capo del Palermo 1

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